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Percorsi tematici

EMERGENCY e “I COLORI DI UNA NUOVA VITA”

autore: Teresa Fregola
classe: TUTTE
scuola: Scuola Secondaria di Casumaro

Durante le vacanze di Pasqua le classi della Scuola Secondaria dell’IC4 di Cento hanno ricevuto un bellissimo regalo.

Serena Cavallari, volontaria di Emergency e amica della nostra scuola, da anni in prima linea per incontrare i ragazzi e le ragazze, e per riflettere con loro, ha portato, per ogni classe, una copia del libro I COLORI DI UNA NUOVA VITA ,    edito da Tunué e pubblicato pochi mesi fa.

Si tratta di un esperimento di graphic novel scritta da ragazzi delle  Scuole Secondarie di I° grado di tutta Italia per i  loro coetanei.

Anche i ragazzi delle classi terze della Scuola Secondaria di I° di Casumaro hanno partecipato, divisi in piccoli gruppi, inviando il loro contributo nella primavera del 2020.

Di seguito potete leggere alcuni dei racconti scritti dalle classi di Casumaro.

Esiste anche una versione scaricabile del fumetto, che potete trovare qui https://fun.tunue.com/index.php/i-colori-di-una-nuova-vita/

e qui c’è la presentazione fatta a fine gennaio 2021, con Laura Silvia Battaglia a Casa Emergency https://youtu.be/niJRxLGGPZE

 

ECCO ALCUNI DEI  RACCONTI SCRITTI DALLE CLASSI TERZE

NELLA PRIMAVERA 2020

 

Il viaggio

Io sono Kalid, ho 16 anni e vivo a Ghat, una cittadina nel sud-ovest della Libia. Sono appena partito per il grande viaggio, si sta scomodi, ma mi sento più o meno sicuro qui; il mio vicino è simpatico, ha 2 anni in più di me. Abbiamo fatto subito amicizia, ha detto che mi presterà il suo telefono quando arriveremo in Italia, per chiamare i miei genitori, gli racconterò di tutto quello che ho visto: l’acqua blu, i pesci colorati, le persone che ho incontrato, il giallo del deserto… . Spero solo che questo viaggio sia meno difficile di quello che ho fatto nel deserto il mese scorso, per raggiungere  Sirte, dove mi hanno imbarcato su questo barcone. Sono molto insicuro dell’arrivo perché su questo barcone rosso siamo in troppi e ho paura che si rompa da un momento all’altro. Su questo barcone non c’è né acqua  né cibo. Ci sono molte persone che si lamentano durante la notte, ma ci sono anche quelli che dormono, ma sono molto meno di quelli che rimangono svegli, come me. Sono le prime luci del giorno e non ho chiuso occhio per via del rumore delle onde del mare che si infrangevano sui lati del barcone. Sono passati ormai 10 giorni dalla partenza, giorno dopo giorno vediamo sempre di più la costa, una costa rocciosa, che finisce a strapiombo nel mare. In alto, sulle colline ci sono gli alberi, di un verde speranza intenso che fanno da stacco al grigio delle rocce.

Il viaggio

Yasi e Indi sono due bambini di 10 e 14 anni, Yasi arriva dal Sudan e Indi da Jwama, un paesino africano.

Yasi aveva lasciato tutta la sua famiglia in Sudan e viaggiava con la sorella Mali che voleva studiare medicina. L’unico ricordo che aveva della sua famiglia era una foto che teneva sempre con sé.

Indi aveva perso tutta la sua famiglia e i suoi beni, tranne la sorella Zuma: erano gli unici sopravvissuti ad un attacco al loro villaggio. Il loro sogno era quello di arrivare in Italia, a Torino.

Hanno attraversato la sabbia calda e dorata a piedi e poi su un camion pieno di persone che temevano la loro morte. Arrivati in Tunisia sono saliti su una nave che li avrebbe portati in Italia. Il mare era blu, profondo e Indi rassicurava Yasi perché aveva paura di cadere.

Yasi, Indi e le loro sorelle speravano in una vita migliore, passata tutti insieme.

Dopo la loro conoscenza le loro vite passarono da un’enorme buco nero ad un immenso paradiso bianco. Dopo tanto tempo Yasi e Indi hanno trovato qualcuno che li capiva e che li rassicurava e  il loro mondo era diventato pieno di verde speranza.

Mentre pensavano che adesso sarebbe andato tutto bene sentirono delle urla: erano le loro sorelle cadute dalla nave. Il loro paradiso bianco pian piano iniziava a sfumarsi ce a ritornare nero. Da allora  decisero di non separarsi mai più.

Nonostante sapessero che qualcos’altro poteva andare storto cercarono di mantenere sempre il sorriso e di pensare alla loro futura vita a Torino.

 

Il viaggio

Mi chiamo Sonia e ho 15 anni ora abito con i miei genitori in Italia  ma quando ero bambina tutto era diverso . Sono nata in Libia e lì la vita era tremenda, non c’erano abbastanza cibo, acqua, medicinali, vestiti e non potevo andare a scuola .

I miei genitori erano poveri, non avevano neanche un soldo per potersi permettere una casa infatti vivevamo in una tenda circondata da tantissimi alberi. Un lato positivo c’era : potevo ammirare come le foglie  cambiavano il proprio colore durante le stagioni .

Avevo solo 8 anni quando  sono stata svegliata dai miei genitori durante la notte. Ricordo bene quel giorno perché il cielo aveva qualcosa di particolare e la luna rifletteva i suoi raggi sul lago poco lontano da noi  . Mi dissero che dovevamo partire per una piccola avventura , ma dalla loro faccia capivo che cercavano di farla sembrare una cosa da niente anche se non ci riuscivano bene perché anche se ero piccola sentivo che quello che stavamo per fare sarebbe stato pericoloso.

Iniziammo a camminare per non so quanto tempo , poi arrivammo in un porto dove ci stavano aspettando degli uomini che ci fecero salire su un gommone . Non eravamo gli unici però, c’era talmente tanta gente che ci si stava strettissimi .

Sapendo che il tragitto sarebbe durato un’ eternità decisi di trovarmi qualcosa da fare: all’ inizio mi sono messa a contare tutti i pesci che vedevo, ma  era diventato noioso. Mentre davo un’ occhiata in giro notai un bambino poco distante da me e così decisi di andare a parlargli. Scoprii che aveva 3 anni più di me e si chiamava Samir.

Per tutto il viaggio abbiamo parlato e giocato insieme…e non ci siamo resi conto di come passava il tempo.

 

Il viaggio

 

I trafficanti ci hanno fatto intraprendere un lungo viaggio sotto il sole del deserto che ti ustiona la pelle. Alcuni di noi, a causa dell’escursione termica tra il giorno e la notte, si sono ammalati e i trafficanti li hanno lasciati indietro a morire. Per scaldarci ci mettiamo sopra i corpi la sabbia calda, ma ci possono essere scorpioni e serpenti velenosi, e si spera di sopravvivere alla notte, una notte buia dove si può vedere solo un piccolissimo filo di luce che ci indica la strada per la salvezza ormai persa.

Io e le persone sopravissute siamo arrivati al porto per imbarcarci. La nave è vecchia e pensavo che sarebbe affondata da un momento all’altro. Subito dopo essere saliti ho visto le provviste di cibo e acqua che sicuramente non sarebbero  bastate. Siamo strettissimi i bagni non ci sono. La prima notte è stata devastante, tra le urla e la tempesta che stavamo attraversando nessuno ha dormito e alcuni si sono feriti per colpa delle ringhiere arrugginite della nave. Il giorno era anche peggio: ero sul ponte scoperto della nave e il sole mi ricordava quello del deserto, caldo e imperterrito, a farmi ustionare la pelle. Verso metà viaggio abbiamo finito le scorte di cibo e il giorno dopo quelle di acqua. Alcuni cercavano di pescare senza successo e altri cercavano di rubare  cibo dalle scorte dei trafficanti nella stiva. Tra quel piccolo gruppo di 4 persone c’ero anche io, che avevo bisogno di mangiare per recuperare almeno un po’ di energia. Era molto pericoloso perché , se ci scoprivano, ci potevano torturare o nella peggiore delle ipotesi gettare in mare. Per bere buttavamo una bottiglia di plastica in mare, e poi la tiravamo su con una corda , ma l’acqua era inquinata e faceva male berla.

Quando resto sveglia di notte penso alla mia famiglia, guardo le stelle e faccio finta che siano i miei amici morti in guerra o quelli che non sono venuti con me e gli dico che riuscirò ad arrivare alla mia meta per loro e per i miei genitori rimasti a casa, che mi hanno pagato il  viaggio e che mi hanno permesso di avere un vita migliore.

 

Il viaggio

Mi chiamo Abdul e ho 15 anni. Ho dovuto lasciare i miei genitori e sono partito

insieme a mia sorella minore, lei ha 7 anni. Siamo partiti dalla Mauritania, ma non

avendo abbastanza soldi per pagare il viaggio in nave, siamo dovuti partire su dei

grossi camion neri pieni di persone come noi.

La prima pausa l’abbiamo fatta dopo quasi due giorni che stavamo viaggiando tutti vicini senza quasi più acqua nè cibo. Ci siamo fermati in un paesino al confine della Mauritania. Ci siamo fermati solo per un’ora poi siamo subito ripartiti.

Non ci siamo più fermati fino a quando siamo arrivati al confine tra l’Algeria e la

Tunisia. Per passare il confine ci hanno fatto scendere e abbiamo dovuto fare una

parte di tragitto a piedi, camminando per oltre un’ora. Quando siamo arrivati al

punto di ritrovo ci hanno fatto lasciare tutto quello che avevamo con noi e così io e mia sorella abbiamo finito i pochi soldi che ci erano rimasti. A questo punto c’

hanno caricato su degli altri camion, questa volta verde militare. Ci hanno separato e ho visto mia sorella salire su un’altro camion con altre persone. Piangevo ma non potevo fare nulla.

Abbiamo attraversato il confine con facilità e poco dopo ci hanno scaricati in una

radura, ma il camion in cui era salita mia sorella non arrivava. Non ho avuto il tempo di aspettarla a lungo perché ci siamo dovuti incamminare verso la costa. Mi hanno detto che ci avrebbero raggiunto a breve e io volevo credergli, ma piangevo ancora, e non ero il solo.

Appena arrivati, dopo due giorni di camminata, eravamo tutti molto stanchi ma non ci hanno fatto riposare. Ci hanno immediatamente caricato su una minuscola nave bianca che ci avrebbe portato verso l’Italia.

Mamma e papà dicevano sempre che in Italia saremmo stati liberi e felici, che in

Italia non avremmo mai più sofferto la fame, che non ci sarebbe mai più stata guerra, ma soprattutto che ci avrebbero raggiunti il più in fretta possibile così che saremmo stati finalmente tutti insieme.

Non riuscivo a crederci, l’Italia era lì davanti a me, avrei voluto che mia sorella

fosse lì. Per vedere la libertà.

Eravamo così vicini, eppure il capitano non voleva farci scendere, diceva che

avremmo aspettato la notte oppure avremmo aspettato una nave più grande con del cibo che ci avrebbe salvato.

Per fortuna arrivò una di quelle navi e ci fecero salire. Proprio lì io la vidi, avevo

ritrovato mia sorella!

Poi questa nave ci fece sbarcare in un piccolo porto con delle persone a terra che ci aspettavano per prendersi cura di noi. Finalmente eravamo in Italia!

L’arrivo

Quando siamo arrivati ero davvero stanca, non mi reggevo più sulle gambe, piangevo, non so se di gioia o di sconforto, avrei voluto fare tante domande…

Dove eravamo? Chi ci avrebbe aiutato? Cosa avremmo fatto, se sarei andata ancora a scuola?

Ma non c’era più nessuno che mi avrebbe risposto, mamma, papà e mio fratello non li avevo più visti dopo il saluto che ci eravamo fatti a casa e la zia, insieme alla mamma, si erano addormentate durante il viaggio in una calda giornata, poi non si sono più svegliate…da quel momento sono rimasta sola, perciò non sapevo più a chi chiedere cosa sarebbe successo.

C’erano tante persone, ma non conoscevo nessuno, ero tanto impaurita.

Poi, ad un tratto, uno STOP improvviso! Tutti iniziarono ad agitarsi, eravamo stretti e nel nero di quella notte il mio umore lo era anche di più. Non vedevo nulla. Tutti si muovevano, scalciavano. Ero strattonata da ogni parte. Sembrava non mi vedessero. C’era un gran trambusto. Poi gli urli dei trafficanti che strillavano di muoverci, ci gridavano di scendere in fretta, mi spostavo a fatica. Non sapevo dove andare, così seguivo gli altri.

Quando eravamo tutti scesi la barca ripartì in tutta fretta, come se dovesse scappare.

Finalmente aria fresca, si sentiva il verde degli ulivi, di quella che sarebbe diventata la mia terra… mi sentivo di nuovo viva, non ci credevo che ero sopravvissuta!

Sentivo la sabbia sotto i piedi e nel blu di quella notte si vedevano solo delle lucine, erano lanterne che venivano verso di noi correndo. Donne e uomini venivano con strane coperte fatte di oro e argento. Una ragazza mi ha avvolto con una coperta, ero diffidente, ci spostarono sotto dei tendoni, ci coprirono per bene…e ci diedero anche da mangiare!

Avevo una gran fame, non mangiavo da un sacco, mi sentivo strana e vuota, crollai subito. Quella notte dormimmo lì sotto, non si stava male, ma c’ era comunque tanto freddo.

Per le settimane seguenti ci portarono temporaneamente in una grande struttura, dove però stavamo un po’ stretti, dormivamo a terra, avevo sempre male alla schiena. Nel frattempo Lucia, la mia amica volontaria, mi aiutava a chiamare la mamma, ogni giorno. Ma non rispondeva mai, forse era molto impegnata o forse stava male, oppure a volte pensavo che poteva essere morta. Mi veniva da piangere e facevo solo pensieri neri. Per fortuna ad aiutarmi c’ era Lucia: mi aiutava a cacciarli e ridevamo insieme, era sempre buona, anche se spesso non ci capivamo, io capivo poco l’ italiano e lei la mia lingua.

Qualche volta in mezzo a noi passava un dottore, mi faceva delle domande, misurava la febbre e il battito del cuore.

Un giorno, però,  si preoccupò per la mia brutta tosse e disse che avevo una brutta “bruco polmo…” non lo so ancora dire….comunque disse che dovevo andarmene da lì e stare in un posto più caldo e pulito, con più cure e fare visite periodiche.

Così dopo poco presi quello che avevo e andai a casa insieme a Lucia.

La sua casa era bellissima; un cane, appena entrati, mi saltó addosso e mi leccò la faccia, mi faceva ridere. Poi un uomo alto,  con un po’ di barba, venne verso fine e mi salutò, si inginocchiò e mi domando’ il mio nome.

Era il marito di Lucia, un bel ragazzo, giovane e gentile. All’ inizio non capivo perché non avevano figli, poi compresi: Lucia non poteva partorire e perciò non potevano avere un bambino….

“Sarebbe stata una brava mamma” fu la prima cosa che pensai quando me lo disse, e Edoardo ” un bravo papà”.

Il tempo passava, Edo mi insegnava la lingua, io ormai stavo bene e di lì a poco avrei iniziato la scuola. Le speranze di trovare la mia mamma sfumavano lentamente.

Un pomeriggio, però, arrivò una chiamata a casa di Lucia, era il mio fratellone Amal, era riuscito a trovare il numero tramite l’ associazione. Lui era arrivato dopo di me in un’ altra barca.

Si trovava in Toscana, aveva un lavoro e una fidanzata….stavo addirittura per diventare zia, a maggio avrei conosciuto il mio nipotino!

Edoardo mi aveva insegnato benissimo l’italiano, a scuola andavo bene e a casa andava tutto benissimo!

Ormai la mia vita era diventata di un giallo sole e non era più  marrone sabbia, quasi grigio.

Non conoscevo più solo una o due sfumature, ognuna delle mie giornate era diversa dall’ altra, di mille colori, più dell’ arcobaleno!

 

COMPLIMENTI  E GRAZIE DI CUORE AI NOSTRI RAGAZZI E ALLE NOSTRE RAGAZZE PER I PREZIOSI RACCONTI CHE HANNO SAPUTO REGALARCI !!!!!

 

 

 

 

 

 

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